Seatour (seconda parte)

Senigallia 21-22 giugno

"...Lassù sui monti vien giù la neve...". E si, in effetti siamo tutti un po' montagnini noi mauve (Leponzi, Celti, Romani e chissà quale altro sangue ci scorre nelle vene! Il meticciato è la risposta alla semplificazione che vuole ridurre tutto a uno, senza vedere gli intrecci), anche se il lago che ci bagna ha forse levigato nel corso delle generazioni la nostra primigenia ruvidezza timorosa di scambi. Vivendo a Verbania non puoi non fare i conti con le montagne. Le hai di fronte, di là dal lago, e dietro le tue spalle. E' un quotidiano corpo a corpo più o meno ravvicinato, un continuo prendere misure, immaginare nuovi orizzonti, godere e soffrire di quelli abituali. Quindi fa un po' specie dirigerci verso il mare sotto un cielo abbacinante, si sente una sorta di diffidenza per una distesa d'acqua troppo grande per essere compresa, che sgomenta e affascina allo stesso tempo con quel suo incessante ondeggiare. Superato il girone infernale intorno a Bologna e dopo aver finalmente pranzato in un onesto ristorante appena fuori l'autostrada, caliamo su Senigallia stupendoci dei numerosi campi di girasole e delle dolci colline marchigiane fra cui spunta una linea blu salata, probabilmente portandoci dentro ancora l'onda lunga dei popoli scesi dal nord secoli fa, attirati dal clima favorevole e dalle ricchezze di un terra fertile ed ospitale. Adesso alla guida c'è Alberto mentre Frova si è messo dietro con me perdendo inevitabilmente in imponenza. Qualcuno si addormenta o sonnecchia, si mandano e ricevono messaggi, si cuoce a fuoco lento. Leggo un romanzo molto crudo e avvincente sul brigantaggio calabrese del 1863, "I sentieri del cielo". Ne leggo un piccolo brano al Frova per condividere una scena particolarmente cruenta narrata con fredda minuzia chirurgica. Mi dice di smettere perchè in effetti da un po' il voltastomaco anche se alla fine il libro non è solo questo, mostrando anche tanti squarci lirici che mi catturano. Provare per credere!

Verso le 18 arriviamo a destinazione, scarichiamo gli strumenti e dopo aver dato un'occhiata al magnifico luogo del concerto (una piazzetta di lato (guarda caso!) alla Biblioteca civica, in pieno centro storico lastricato di mattoni rossicci) ci accompagnano all'ostello dove dormiremo, proprio sul lungomare. Decidiamo di fare un bagno rinfrescante prima di andare a cena. Io, Alberto ed Elda ci tuffiamo con voluttà mentre il Frova ci aspetta sulla riva intingendo solo i piedi (qualcuno dovrà pur resistere alla tentazione mediterranea giusto per convalidare la tesi montagnarda no?).


Stranamente sono l'ultimo ad uscire dall'acqua e me ne sto volentieri a godere degli ultimi raggi dorati sulla spiaggia di sabbia bruna. Inaspettatamente sento qualcosa di famigliare e di perduto nel ritrovare il mare. L'aria fresca, la pelle salata ricoperta di goccioline, il sole che declina lentamente dietro un velo arancio e mauve. Tutto è un richiamo all'esperienza di un altro mare e di colei che me lo ha fatto conoscere non molti anni fa, lottando contro le mie reticenze e grazie alla quale oggi posso dire, con gratitudine, "now I know the sea".

A cena si mangia pesce. Abbiamo deciso di non badare troppo a spese stavolta e su consiglio del gentilissimo Giovanni ci sediamo in un locale del centro che da proprio sulla piazza del Foro Annonario dove è montato il palco principale. La cucina si rivela all'altezza delle aspettative e anche il vino bianco è cortese quanto basta. Sazi a sufficienza, ci aggiriamo per le strade del centro zeppe di gente rilassata lasciandoci guidare da echi di musiche diverse. Ci piacciono i Beasts che suonano nella piazzetta dove l'indomani suoneremo anche noi. Bassoeffettato+batteria+laptop per un suono che mi ricorda molto i chiaccheratissimi Fuck Buttons ma che al contempo tenta via originali. Peccato aver visto solo l'ultimo scorcio del loro concerto. Prendiamo un gelato, entriamo in un libreria ben fornita e verso le 2 di notte decidiamo di ritornare a piedi verso l'ostello. C'è ancora un sacco di gente sul lungomare che ora sembra una passerella piena di giovani donne e giovani uomini abbronzatissimi e formicolanti. Buio e sogni di una notte di mezz'estate.

La mattina di domenica si svolge quasi del tutto al bar. Una lunga colazione di 5 ore fra chiacchere abbozzate, giornale, cappucci e brioches! Il sole ottunde troppo e si suda anche a muovere un alluce. Scriviamo e spediamo alcune cartoline da veri turisti. Mangiamo ancora pesce "da Michele" mentre dei bolidi schizzano sullo schermo del televisore piazzato in fondo alla sala. Si parla di Gomorra e del Divo, dello stragismo e della mafia, di Ustica e di piazza Fontana, delle Br e della P2, di anni che non abbiamo vissuto ma che ci hanno raccontato o di cui abbiamo letto con stupore e amarezza. Quindi siesta in ostello. Prima di prendere il furgone per andare al soundchek c'è tempo per un ultimo bagno rinfrescante che farò da solo (mi stupisco a scoprirmi così animale marino! Chi l'avrebbe detto? Ora aspetto di vedermi spuntare le pinne!).
Arrivati sul posto del concerto aspettiamo un bel po' approfittando per scambiare due chiacchere con i ragazzi del Marinaio Gaio, la gloriosa associazione che ci ha invitato in occasione della Festa della Musica, accogliendoci con grande generosità. Questa è una cosa fra le più belle dell'andare in giro a suonare: conoscere esperienze distanti eppure affini, comprendere sforzi e godere di storie, scambiare passioni per sentirsi meno soli, meno folli.

Putroppo a farci sentire soli e folli ci pensa la nazionale di calcio. E' la sera di Italia-Spagna e ovviamente tutti i concerti sono ritardati per permettere al sacro pallone di rotolare visto da tutti gli occhi, grandi e piccini, che ne restano affascinati. L'attesa però è snervante e, dopo la fine dei tempi regolamentari, già si intuisce aria di disfatta. E' pazzesco come sia tutto vuoto in giro. La gente si assiepa fuori dai locali del centro con il televisore, sembra ipnotizzata e ricorda scene d'altri tempi. Iniziamo a suonare dopo la mezzanotte di fronte a una quindicina di persone. Il set è abbastanza breve ma energico. Sul palco si sente bene e a parte qualche leggerezza suoniamo compatti. Frova immobile come sempre sembra un leone di marmo. Alberto si dimena sinuoso e la Driade, beh la Driade raccoglie i favori del pubblico sia quando sta dietro i tamburi, sia quando si trasforma in elegante chanteuse.

Sipario. Carichiamo subitaneamente il furgone con precisione e meticolosità. Ci aspettano 500 km prima di casa. Ringraziamo i marinai gai e puntiamo verso l'autostrada. Alberto e Frova rovinano immediatamente nell'oblio sui sedili posteriori mentre Elda si nega il sonno al mio fianco. Dopo poco mi dirà "chiudo solo un momento gli occhi ma non mi addormento tranquillo!" e ovviamente nell'arco di duecento metri sentirò il suo respiro farsi pesante, rapito dal sonno. Mi affido alle stelle e per tenermi sveglio canto a voce alta. Metto i Pavement, wowee zowee, ricordandomi di colpo quale capolavoro è. Dopo Reggio Emilia il cielo comincia a schiarirsi, Elda si è risvegliata ma mi ostino a voler guidare per vedere l'alba blu. Alberto ad una certa buca si sveglia affamato e comincia a mangiare pop corn!! Poi, come se niente fosse, si rimette a dormire. Arriviamo a casa di elda che sono le 6.30 a.m. Abbiamo viaggiato tutta la notte. Scarichiamo tutto facendo tappa nelle varie case e poi il Frova (supereroe!) va a lavoro, Alberto a dormire, mentre io ed elda aspettiamo le nove per consegnare il furgone. A quel punto potremo dire finito il nostro viaggio.

Da gennaio abbiamo fatto 23 concerti ("23 concerts, all things you love will die") aprendo anche per due band estere, diverse decine di prove, alcune interviste scritte e dal vivo, abbiamo vinto un premio della Critica e ricevuto molte recensioni tutte fra il positivo e il molto positivo su riviste e su web. Per noi è una buona media che in parte ci è costata in termini di energie, soldi e quieto vivere. Ma è la nostra passione e quindi la si asseconda con ogni sforzo, anche se a volte ti senti un cretino a rimetterci qualcos'altro che forse era più importante, che poteva andare diversamente, che non hai saputo gestire e comprendere, che hai fuggito e che si è perso lasciandoti un vuoto che è difficile colmare.

La prima parte del nostro Kitchen tour si conclude qui, salvo imprevisti. Si riprende a settembre. Buone vacanze e un ringraziamento enorme a tutti quelli che ci hanno fatto suonare, ci hanno ascoltato e si sono emozionati, alla Canebagnato tutta per l'immensa dedizione, a Daniele, al Bresa, a tutti quelli che hanno acquistato i dischi, hanno condiviso chiacchere e risate, racconti e sogni. E' questa la parte della faccenda che ti rassicura, inducendo a credere di non aver proprio speso del tutto male il tuo tempo. Non potevamo sperare di meglio!
Arrivederci e a presto! E ricordate... anche l'Autunno ha la sua musica! :-)

carlo


Seatour report (prima parte)


Partenze

Preparativi per la partenza. Come al solito mi riduco a fare la valigia la sera prima, a tarda serata, stanchissimo. E’ un rito lento, che amo seguire con cura anche se sono sicuro di dimenticare sempre qualcosa di fondamentale (ma cos’è poi “fondamentale”?). Stavolta aggiungo anche costume da bagno e asciugamano da spiaggia; andiamo al mare e non voglio trovarmi impreparato. A letto non prendo subito sonno. Sento dell’irrequietezza per il viaggio, quello che ci aspetta e non ci aspetterà. Ho una specie di lieve nodo allo stomaco che non mi lascia distendere del tutto. Leggo il libro di Wu Ming che ho preso oggi in libreria. Guarda caso (ma è un caso?) parla di viaggio. Due membri del collettivo raccontano il viaggio che hanno fatto in Canada sulle tracce dei personaggi del loro ultimo romanzo, Manituana. Mi piace questa tenue corrispondenza ingigantita dall'immaginazione: loro in Canada dietro ai fantasmi indiani, noi, più prosaicamente, in partenza per due date (le prime sotto il Po). Loro in viaggio per migliaia di km con l’aereo, noi alla fine ne faremo in tutto circa 1000 con un furgone preso a nolo. Ognuno con le sue aspettative. Dal libro apprendo che Padre Navarette, un viaggiatore francescano del diciassettesimo secolo, lasciò scritto che “si contraddice non poco la natura umana lasciando la propria casa”. E’ una frase che colpisce e forse spiega un po’ del mio maldipancia pre-partenza. Una parte di me vuole partire, distaccarsi dalla quotidianità, aprirsi al nuovo e all’imprevedibile, scrostarsi pensieri muffi e ridisegnare prospettive. Un’altra è ripiegata su una comoda quotidianità che soffoca e rassicura. Mi addormento su questi pensieri senza fine.

Verbania-Fiorano Modenese 20 giugno

Il giorno dopo, la partenza è fissata per le 15. Finito lavoro, passo a prendere il furgone(un Fiat Ducato grigio metallizzato). Ci ritroviamo da Elda e per una volta la partita di tetris che ingaggiamo di solito per far stare tutta la strumentazione in macchina risulta essere per principianti. Elda personalizza il mezzo con alcune scritte fissate con lo scotch di carta e si parte. Impostiamo il navigatore (un recente e dubbio acquisto) anche se dopo pochi minuti saremo costretti a zittirlo per non scaraventarlo fuori, irritati. Alla guida, all’andata, si alterneranno Frova e Alberto, mentre il ritorno spetterà a me ed Elda. Dal mio cantuccio posteriore Frova mi sovrasta(il sedile anteriore è rialzato) e assomiglia a un gigante buono, un Ercole gentile. Si respira agitazione nell’aria. C’è chi la tradisce di più, ma tutti siamo eccitati come bambini alla loro prima gita scolastica. Non capisco bene: in alcuni momenti sembriamo degli Argonauti, degli eroi pronti a tutto per raggiungere il loro vello d’oro; in altri dei folli, degli stupidi ingenui all’inseguimento di chimere che non sappiamo nemmeno bene mettere a fuoco. Mi astengo dal voler formulare una risposta definitiva e mi lascio distrarre dalle immagini che scorrono veloci sul finestrino, dalle chiacchere e dalle risatine smozzicate che mi arrivano dal davanti, dal libro che ho sulle ginocchia e che terminerò prima ancora di vedere il mare.
A Milano, in tangenziale, ci tocca la prima coda. Il caldo comincia a farsi sentire per davvero in questa estate posticipata e sul furgone non abbiamo l'infida aria condizionata. Il sole è ancora alto nel cielo grigio-azzurro, soffocante, sembra poter prosciugare tutta la Milano da bere. Prendiamo l'A1 in direzione Bologna. Fiorano ci aspetta e ci aspetterà fino alle 20 passate. Il lungo grumo di lamiera premuto sull'asfalto dal tacco del solleone ci costringe a numerose soste.

Facciamo il nostro ingresso "trionfale" su piazza Menotti di Fiorano mentre un disco arancio declina verso ovest. Il primo a venirci incontro è Daniele, il nostro promoter. Ha l'aria di chi aspetta da un po' ma la sua affabilità non tradisce punte di insofferenza. Scarichiamo, montiamo tutto e facciamo un po' di check. Elda viene subito tampinata da quello che sarà poi il vero protagonista della serata, vale a dire Corrado alias Scricciolo. Corrado ha l'aria già alticcia e sembra apprezzare molto la nostra presenza(soprattutto quella di Elda, a dire il vero!!). Elda gli concede una prova alla batteria che dice di aver suonato per tre anni. Si rivelerà un generoso e fuorissimo compagno di serata con un perfetto e biascicato accento emiliano che ci farà sorridere volentieri. Il Caffè del Teatro, luogo del concerto, è un bel posto. Arredato con poltrone e divanetti un po' retrò e quadri con musicisti, ha un bella illuminazione soffusa e un'ampia terrazza che da sulla piazza antistante. Consumiamo la cena insieme a Daniele parlando del suo lavoro, del girare insieme ai julie's haircut, di possibili nuove date ed è quasi ora di salire sul palco. Peccato solo che non arrivi molta gente. Alla fine arrivano quattro amici di Daniele e decidiamo di iniziare di fronte a non più di una decina di persone. Abbiamo previsto intro e outro dilatate e improvvisate, in linea con le ultime prove, molto più free e ambientali rispetto al repertorio su disco(Deerhunter are my star!). Noi ci divertiamo non poco e i pochi che ci sono sembrano apprezzare. Dopo un'ora abbondante siamo madidi di sudore e solo una lunga boccata d'aria sulla terrazza con tanto di recupero liquidi refrigeranti (sotto forma di bevande alcoliche o calippi) ci restituirà le energie per smontare tutto e caricare di nuovo il furgone, destinazione casa di Daniele a Bibbiano.

Per poco non mi addormento durante il tragitto e una volta arrivati non ci metto molto ad abbandonarmi al sonno. Per gli altri non è andata forse proprio così. La piccolissima stanza che ci ospita confina con il garage dove dormono i due cani boxer di Daniele il quale ci consiglia di chiudere a chiave la porte per evitare di trovarci in loro compagnia durante la notte. E in effetti, a detta del Frova, ci sarà un fiatare intermittente. La mattina, compiaciuto della mia insensibilità, potrò dire di aver riposato meglio di tutti.





Bibbiano-Cavriago-Senigallia 21 giugno

Alle 10.30 andiamo a fare colazione insieme a Daniele al "bar Ida da Simona". Ci serve una ragazza dagli occhi chiari, molto gentile. Ci sistemiamo all'aperto, sotto dei pini mentre scorrono le ultime battute e alcuni sottili refoli di vento. Frova, forse sotto il peso del malditesta dovuto alla notte quasi insonne, tiene banco con innumerevoli e mirabolanti cazzate. Si vagheggia di un pellegrinaggio a Zocca, luogo natale del Vasco, chiaramente non quello che campeggia sull'ultima copertina di Blow up. Si rimembrano le gesta della sera prima di Elda con il calippo. Si ride, rincoglioniti dal caldo e dalla poche ore di sonno.
Poco dopo, salutato Daniele a cui siamo riusciti a strappare la promessa di farci suonare con Bugo e Frusciante, decidiamo di puntare su Cavriago, la piccola Pietroburgo. E' da quando seguo i Giardini di Mirò che ne sento parlare. Jukka Reverberi e forse anche Corrado ( i due chitarristi) sono di lì e gli Offlaga Disco Pax ci hanno pure fatto una canzone. Cominciamo a stupirci nel constatare che "l'incredibile toponomastica" dell'Emilia dal cuore rosso è proprio una realtà. Via Che Guevara, via Carlo Marx, via Nilde Iotti e infine Piazza Lenin. Sostiamo nella piazza rossa (per altro non proprio bellissima) con il sole alto di mezzogiorno per qualche minuto. Osserviamo straniti la copia del busto in bronzo di Lenin con il sopracciglio corrugato e l'espressione severa. Scattiamo qualche foto e torniamo ad inseguire i nostri pensieri che corrono dietro ai campi roventi riflessi sui vetri del furgone.