FUORI DAL MUCCHIO di Luca Minutolo

Giunti al secondo parto discografico, i verbanesi Mauve si lasciano accompagnare per mano da Andrea Rovacchi, produttore e manipolatore dei viaggi lisergici dei Julie’s Haircut. Strisciando nelle lande devastate dai feedback lancinanti di casa Sonic Youth,  il quartetto viene intaccato dal germe di un senso melodico dal tatto trascinante, dove accordi prettamente punk pop sfociano in cavalcate noise dissonanti e fragorose, ammaestrate dalla rigidità new wave inglese. Colpiscono nervi scoperti la spavalderia e la capacità di saper dare adito con la giusta dovizia a queste due (o più?) anime tormentate che convivono nei Mauve, accartocciandosi l’una sull’altra generando una sfera di suoni senza grinze.  Fanno da contrappunto “Ahab” (che sembra fuoriuscire direttamente da “Dry”) col suo finale in preda agli spasmi, “Ludovico” morsa dalla ritmicità marziale della new wave che sfocia in ritornelli pop punk appiccicosi, o nell’angst-noise di “Grasshopper In Your Hands”. Anche dove la tensione scende momentaneamente, la band dimostra personalità e sentimenti a cuore aperto, infilandosi nelle fitte trame shoegaze di “Decay” e nelle sinistre atmosfere spectoriane di “Hang Over”. Territori e suoni a loro modo affini, che in “The Night All Crickets Died” trovano la giusta amalgama ed il collante adatto a tenere in piedi un disco privo d’incertezze. Caratteristiche che delineano una band sì derivativa, ma che riesce a brillare di luce propria e di una personalità che esce fuori senza troppa timidezza. Un disco italiano che non ha – fortunatamente, visto il contesto – nulla di italiano.

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